Virgilio e Brindisi
di Nazareno Valente
1. Cultura e spirito campanilistico.
Quando si parla della propria città, è difficile mantenersi obiettivi e non farsi prendere la mano indulgendo in un sia pur velato accenno di provincialismo. A volte però avviene che, invece di contenersi, si finisca per esagerare, come capitato ad alcuni cronisti brindisini nel trattare i rapporti tra il grande poeta latino Virgilio e la nostra cittadina.
In apparenza comportamenti immotivati, che qualcuno potrebbe accostare a ragione alla peggiore aneddotica, ma che invece nella circostanza hanno un motivo d’essere e che, come si vedrà, sono conseguenti ad un’antica annotazione introdotta su un manoscritto da uno sconosciuto amanuense del XIV secolo che, senza volerlo, finiva per manipolare un evento della nostra storia.
Bisogna infatti sapere che in antichità tra noi brindisini e tarantini non correva buon sangue, e così fu sin dai primi approcci.
Inizialmente fu vera e propria lotta cruenta per la supremazia territoriale, combattutasi per secoli con alterne fortune e con non pochi bagni di sangue. Poi, appena i romani imposero le loro leggi, la battaglia per la sopravvivenza divenne scontro di carattere tipicamente commerciale che, in breve, si risolse a favore della nostra città, o per meglio dire a vantaggio nel nostro porto che divenne la quasi esclusiva porta per l’Oriente.
I tarantini avevano di che masticare amaro e, come avviene in questi casi, al danno si aggiunsero le beffe: il “loro” per certi versi Virgilio aveva infatti avuto l’avventura di morire proprio nell’odiata città di Brindisi.
Mettendosi nei loro panni, le cause del risentimento per questo ulteriore colpo di sfortuna non erano del tutto infondate e, in effetti, il poeta mantovano non aveva mai frequentato abitualmente la nostra città, tanto che la documentazione cita solo due occasioni: il famoso viaggio della primavera del 37 a.C. compiuto insieme ad Orazio e Mecenate, in rappresentanza di Ottaviano, e proprio quello del 19 a.C. che si sarebbe dimostrato fatale, con destinazione Atene. Viaggi quindi di lavoro e di studio, non certo dettati dal desiderio di visitare i bei lidi brindisini.
Invece con Taranto, Virgilio sembrava avesse avuto una maggiore consuetudine, essendosi soffermato nei suoi scritti a ricordarne campagne e i borghi1, con quella dovizia di particolari che lascia far intuire una conoscenza non solo mediata.
Che fosse a ragione o a torto, poco conta, quel che parrebbe assodato è che i tarantini ritennero opportuno di dover intervenire forzando i fatti nel senso di renderli più adeguati ai propri desideri. Essi tentarono così di espropriarci d’un pezzo di storia contrabbandando che Virgilio fosse morto dalle loro parti e non, come nella realtà, dalle nostre.
Il tutto nacque probabilmente negli ambienti colti tarantini2 ed ebbe lunga gestazione sinché valicò gli angusti confini provinciali prendendo corpo in una tradizione manoscritta della “Vita Vergilii” di Servio.
2. Il falso tarantino e fantasie brindisine
La storia alternativa proposta dai tarantini prevedeva che Virgilio fosse morto a Taranto, dopo aver preso un forte colpo di sole a Metaponto (“periit autem Tarenti, in Apuliae civitate. Nam dum Metapontum cupit videre, valetudinem ex solis ardore contraxit”3) e tale versione fu lasciata riprodursi nel tempo sino a quando, nel secolo XIV, un copista4 l’accolse inserendola in un codice di Servio riguardante appunto la vita di Virgilio.
Si trattava certo d’un palese falso, che l’espressione “in Apuliae civitate” concorse a svelare.
Il termine Apuliae infatti aveva iniziato ad indicare la nostra regione solo in periodo medievale, quando quello di Calabria era passato all’antico Bruttio, e pertanto non poteva essere stato usato da Servio. Tuttavia la manipolazione tarantina prese ugualmente piede e, finché non fu ritenuta una scritta a margine dell’amanuense e, come tale, espunta dal codice, si diffuse creando con ogni probabilità grande apprensione negli ambienti colti brindisini, i quali pensarono bene di rispondere per le rime cercando di ampliare a dismisura i rapporti che Virgilio aveva tenuto con la nostra bella città.
Nacque così la leggenda della casa che Virgilio possedeva vicino alle colonne e le fantasie sulla cittadinanza brindisina concessa al poeta e su una sua presunta frequentazione, sfociata poi in una poco credibile abituale dimora. Il cronista Della Monaca (o, per meglio dire, Giovanni Maria Moricino) raccolse tutte queste storielle arrivando anche a scrivere che Virgilio “volle non di meno aspettar la morte, ch’egli prevedeva in quella città (ndr, Brindisi), che s’havea eletta per patria, havendovi tenuto lungo domicilio...5”.
Al falso tarantino si contrapposero così leggende e inattendibili immaginazioni che finirono per oscurare ancor più la realtà dei fatti e creare così un’aneddotica che, come vedremo, si sarebbe dimostrata dura a morire.
Prima però di esaminare il risultato del lavorio creativo dei cronisti brindisini, esaminiamo cosa narrano le fonti storiche sulla morte di Virgilio e come questa avvenne.
3. La morte di Virgilio
La “Vita di Virgilio” di Elio Donato costituisce la fonte più autorevole e, come tale, è ampiamente utilizzata dagli storici. In essa troviamo che Virgilio, all’età di cinquantuno anni, nell'intento di dare il tocco finale all'Eneide, si recò in Grecia ed in Asia. Giunto ad Atene, incontrò Augusto che tornava a Roma dall'Oriente e, pur di non separarsi da lui, decise di rientrare insieme in Italia ma, “mentre visitava la vicina città di Megara, sotto un sole cocente, fu colto da un malore che crebbe durante la navigazione non più interrotta, così che sbarcò alquanto aggravato a Brindisi, dove in pochi giorni morì, l’XI giorno avanti le calende di Ottobre [21 Settembre del 19 a. C.] sotto il consolato di Cn. Senzio e di Q. Lucrezio” (dum Megara vicinum oppidum ferventissimo sole cognoscit, languorem nactus est eumque non intermissa navigatione auxit ita, ut gravior aliquanto Brundisium appelleret, ubi diebus paucis obiit XI Kal. Octobr. Cn. Sentio Q. Lucretio coss.).
Anche gli altri autori antichi non si allontanano da tale versione, che quindi risulta ampiamente accreditata, fatta eccezione per Probo che nella sua “Vita Vergilii” non dice nulla di quest’ultimo viaggio e, senza indicare Brindisi, genericamente afferma che Virgilio “decessit in Calabria” (morì in Calabria).
Proprio la convergenza delle varie fonti rese vani gli sforzi tarantini di far passare per vera la glossa che l’ignoto amanuense aveva inavvertitamente inserito nella “Vita Vergilii” di Servio, tant’è che il falso fu sepolto dalla polvere del tempo e fu quasi definitivamente dimenticato.
4. La presunta casa di Virgilio.
Il falso dei tarantini scomparve dalla scena storica; al contrario sopravvissero, con diversa fortuna, le leggende costruite dagli eruditi brindisini.
Tra di esse divenne una tradizione, sempre più consolidata, la voce che Virgilio avesse posseduto casa a Brindisi e, più in particolare, che essa fosse ancora in piedi e facesse bella mostra di sé, proprio accanto alle cosiddette colonne romane.
Come già riportato, sono documentati solo due casi in cui Virgilio abbia fatto tappa nella nostra città il che, tuttavia, non preclude che non vi possano essere state altre occasioni.
Sempre contando su Elio Donato, è però certo che Virgilio non amasse vivere nel caos delle grandi città, tanto che soggiornava raramente pure nella stessa Roma (“Romae, quo rarissime commeabat”). Sebbene avesse lì una casa messagli a disposizione da Mecenate presso i suoi orti sull'Esquilino, preferiva infatti vivere in tranquillità, lontano dalla gente, ed i posti di suo maggior gradimento erano la Campania e la Sicilia (“habuitque domum Romae Esquiliis iuxta hortos Maecenatianos; quamquam secessu Campaniae Siciliaeque plurimum uteretur”).
Era poi così schivo e probo che a Napoli lo chiamavano “Parthenias”, vale a dire il verginello. E proprio Napoli, dove divideva una villa con gli amici Vario e Tucca, in una zona isolata sulla via Puteolana, costituiva la sua residenza prediletta.
Brindisi, che a quel tempo per modo di vita assomigliava molto più a Roma che alla tranquilla periferia di Napoli, non doveva pertanto rientrare nei canoni prescelti. Ciò non toglie che Mecenate, cui il poeta era molto legato, potesse a volte costringerlo a tenergli compagnia nei suoi frequenti viaggi, e che alcuni di questi vedessero Brindisi come fuggevole meta.
Tutto questo non comportava però la necessità che Virgilio dovesse mettere su casa nella nostra città, potendo molto più probabilmente contare in questi brevi soggiorni dell’ospitalità che Mecenate, ricco sfondato e in possesso di ville un po’ dappertutto, era in grado di offrirgli. Che fosse sua, o che ne fruisse una concessagli dall'amico Mecenate, l’abitazione doveva essere comunque d’un certo tenore. Sia pure “verginello”, il nostro aveva in ogni caso le sue necessità, ed un viaggio sino a Brindisi non si faceva da soli e con un paio di troller: ci voleva quanto meno un amanuense che fungesse da segretario, tre o quattro schiavi che pensassero ai bagagli ed agli altri bisogni quotidiani, e magari anche qualche amico al seguito.
Il che presuppone un qualcosa di diverso della modesta dimora che possiamo vedere vicina alle colonne, senza contare che le frequenti distruzioni subite dalla nostra città e la struttura evidenziabile nelle vecchie stampe rendono praticamente impossibile ritenerla esistente sin dai tempi di Virgilio.
Al tirar delle somme, non pare verosimile che quella che viene detta la casa di Virgilio lo sia mai stata effettivamente. Magari, se si vuole, come è legittimo, mantenere in vita la tradizione, occorrerebbe inserirla in un contesto diverso, quanto meno più storicamente sostenibile.
In effetti si fa fatica a mettere in sintonia la figura d’un Virgilio, sul quale le fonti sono concordi nell’attestarne la costante ricerca della tranquillità, con un luogo, come il porto brindisino, a quei tempi brulicante dei continui rumori dovuti al dinamismo economico e alle attività di carattere militare. Se avesse proprio avuto necessità di metter su casa, con molta probabilità Virgilio avrebbe preferito scegliere un posto più appartato, magari dalle parti del Casale, dove, a quanto sembra, aveva dimorato il famoso Lenio Flacco e, prevalentemente, l'establishment brindisino.
Più che avere casa nella zona dove ora sorgono le colonne, pare piuttosto plausibile che, in quei pressi, Virgilio abbia soltanto trascorso gli ultimi giorni di vita e, in questo senso, va anche la lapide eretta nel 1930 sulla facciata dello stabile, nella quale non è riportato che essa fosse l’abitazione del poeta ma unicamente che lì egli “l’ultima volta salutò la Saturnia terra”.
Su questo punto, vale a dire sul luogo in cui il poeta aveva trascorso le sue ultime ore, s’incentrava verosimilmente la tradizione ai suoi esordi. Poi, però, la memoria allargò i suoi orizzonti, ed il luogo di morte divenne per estensione pure l’alloggio di proprietà del poeta.
5. La seconda patria e la doppia cittadinanza di Virgilio
Ma i cronisti brindisini andarono ben oltre.
Come già accennato, particolarmente tra il XVI e XVII, il Moricino ed il plagiario Della Monaca, diedero luogo a tutta una serie di episodi fantastici con i quali arricchirono gli occasionali soggiorni brindisini del poeta di Andes.
Dopo aver fantasticato pure sul povero Quinto Orazio Flacco, il Della Monaca narra che: “Non men stretta amicizia hebbe l’altro, cioè Virgilio coi Brundisini affettionandosi di tal modo a quelli, che volle farsi lor Cittadino, come fù da tutti unitamente acclamato, eligendosi anco la casa, che è nella parte della città, che mira per drittura al porto sopra il promontorio delle due Colonne. Quivi menò egli parte de’ suoi anni, e quivi scrisse buona parte delli suoi maravigliosi componimenti dell’Egloghe, delle Georgiche, e dell’Eneide, e benchè la sua habitazione sia humile, ad ogni modo si reca Brindisi a maggior vanto e a maggior gloria quelle mura volgari, che furono degni d’esser stanza d’un tal poeta, che non si vanta Roma dei famosi palagi di Nerone, ch’erano chiamati provincie di maraviglie6”.
Detta in sincerità, quasi un delirio o, per chi voglia, un piccolo attentato alla storia.
Sulla casa s’è già discusso abbastanza, arrivando a concludere che quella che vediamo non possa essere stato il suo alloggio e che, probabilmente, da quelle parti il poeta trascorse l’epilogo della sua vita terrena o, al più, in quei paraggi dimorò saltuariamente, per cui basterà esaminare gli altri aspetti.
Virgilio non poteva, come afferma il Della Monaca, “farsi cittadino” brindisino. Per due motivi molto semplici. Il primo per una questione di fatto: Brindisi allora era un municipium ed i suoi abitanti erano cittadini romani, quindi erano titolari della stessa cittadinanza di Virgilio; il secondo per una questione legata al diritto romano che non prevedeva, anzi ricusava, la doppia cittadinanza: se i brindisini avessero avuto una cittadinanza diversa da quella romana, Virgilio assumendola avrebbe conseguentemente perso quella romana. L’acquisizione di una cittadinanza diversa faceva infatti automaticamente decadere dalla titolarità di quella romana7. A tal proposito, Cicerone ricordava: “Duarum civitatum civis noster esse iure civili nemo potest: non esse huius civitatis qui se alii civitati dicarit potest8” (Secondo il nostro diritto civile, però, nessun cittadino romano può appartenere a due città: non può essere di questa città chi si è dichiarato per un’altra).
Che poi a Brindisi “menò egli parte de’ suoi anni” non solo contrasta con tutta la documentazione storica esistente ma pure con le considerazione già in parte svolte. Se il poeta rifuggiva dalla stessa Roma, sede dei suoi maggiori interessi, perché troppo industriosa e caotica per la sua indole riservata, è difficile credere che trovasse invece congeniale vivere in una città di confine che, essendo uno dei più imponenti porti di mare, finiva per riprodurre quelle che lui riteneva le principali caratteristiche negative della capitale, quali disordine, rumorosità ed eccessiva vivacità.
Ma, in aggiunta alle fonti e alle ragionevoli ipotesi, sono i dati di fatto che confortano questa tesi.
Tutti sanno che, in punto di morte, Virgilio espresse la ferma volontà che l’Eneide fosse data alle fiamme, perché priva degli ultimi ritocchi, ma non fu questo il suo unico espresso desiderio. Ce n’era un altro: essere sepolto nell’amato sobborgo di Napoli sulla via Puteolana. Aspirazione che risulterebbe alquanto strana, se agli effetti pratici Brindisi rappresentava la città dove aveva deciso di dimorare con una certa consuetudine.
Narra infatti Elio Donato che "le sue ossa furono trasportate a Napoli e riposte sulla via di Pozzuoli a circa due miglia“ (Ossa eius Neapolim translata sunt tumuloque condita, qui est via Puteolana intra lapidem secundum).
Fu quindi a Napoli che Virgilio volle essere sepolto, perché lì aveva avuto abituale ed assidua dimora, come tutte le fonti storiche per altro certificano.
Lo stesso famoso distico con cui il poeta compose la sua iscrizione funebre sta a provare che Brindisi non fosse per lui, se non una qualsiasi sede di passaggio. Magari importante, piacevole da visitare, con un porto che gli destava ammirazione, ma senza che l’attirasse emotivamente al punto tale da fargli considerare la possibilità di viverci. Si legge infatti.
Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc
Parthenope; cecini pascua rura duces.
Vale a dire:
Mantova mi generò, i Calabri mi rapirono, mi tiene ora
Napoli; cantai i pascoli, le campagne, i condottieri.
In pratica Virgilio indica esplicitamente la città di nascita e di sepoltura, mentre il luogo in cui è morto lo identifica con un generico “Calabri9”. Un modo invero un po’ freddo per dimostrare il suo affetto nei riguardi d’una città lungamente frequentata e, in più, eletta a principale residenza.
Qualcuno ha già obiettato che l’uso di un tale termine sia stato dovuto a banali questioni metriche; tuttavia si fa fatica a credere che un poeta di spessore, qual era Virgilio, non sia stato in grado di esprimere pienamente il suo pensiero, perché incapace di governare un semplice verso.
In definitiva, non ci può essere altra conclusione: Virgilio sarà pure passato per la nostra città più delle due volte riscontrate dalle fonti, ma non c’è motivo valido per credere che abbia avuto mai l’intenzione di fermarsi più di quanto le circostanze rendevano necessario.
La sua seconda patria, senza dubbio alcuno, era la solitudine che la periferia di Napoli gli garantiva.
Se Virgilio ha frequentato solo occasionalmente la nostra città, è logico dedurre che non vi abbia potuto scrivere “buona parte delli suoi maravigliosi componimenti dell’Egloghe, delle Georgiche, e dell’Eneide”.
In aggiunta, se non bastasse, è lo stesso Virgilio a farci sapere che durante i sette anni in cui compose le Georgiche egli viveva a Napoli coltivando il piacere di stare in disparte: “illo Vergilium me tempore dulcis alebat / Parthenope studiis florentem ignobilis oti...10”.
Ma d’altra parte questa evenienza era già stata ritenuta improbabile dall’Ascoli, che pure non era certo poco propenso a dare credito agli episodi di colore. Parlando della “piccola casa antica” vicina alle colonne, l’Ascoli afferma: “È leggenda popolare che qui egli abbia composto buona parte delle sue opere. Viste le molte e strane leggende, che intorno a Virgilio s’intrecciano nel Medio-Evo, è lecito dubitare di ciò, considerando anche l’architettura e la posizione della casa11”.
Come dire che, assopitisi gli effetti del falso tarantino, i cronisti brindisini incominciarono a dubitare delle estemporanee fantasie confezionate da chi li aveva preceduti e ritennero che era il caso di abbandonare simili storielle.
Riemergeva però di tanto in tanto, e riaffiora tuttora sia pure in modo attenuato – soprattutto quando c’è la necessità di scaldare qualche cuore semplice – la diceria che Virgilio avesse eletto la nostra città a patria “havendovi tenuto lungo domicilio...”.
Non a caso, le leggende fanno parte di quelle entità che, come ricordava Seneca, “Desinunt ista, non pereunt12”. Cessano ma, per l’appunto, non muoiono mai.
1 Virgilio ricorda ad esempio di Taranto il suo ubertoso retroterra: ‘saltus et saturi petito longinqua Tarenti’, “Georgiche”, II, 197. Oppure nei versi ben più famosi in cui descrive la vita semplice di Corycium, un vecchio contadino dei dintorni di Taranto, da lui indicata come Ebalia: ‘Namque sub Oebaliae memini me turribus arcis,/ qua niger umectat flaventia culta Galaesus...’ (Infatti ricordo sotto le torri della rocca ebalia,/ per dove il bruno Galeso bagna bionde coltivazioni...), “Georgiche”, IV, 197, 125-126.
2 Vito A. Sirago, “Puglia Romana”, Edipuglia, Bari - S. Spirito, 1993, p. 156-157, nota 77.
3 Jan M. Ziolkowski,Michael C. J. Putnam, “The Virgilian Tradition: The First Fifteen Hundred Years”, Yale University Press/ New Haven & London, 2008, p. 204.
4 Vito A. Sirago, Celebrazioni Virgiliane tarantine nella ricorrenza del Bimillenario, Banca Popolare di Taranto, 1982-1983, p. 16.
5 Andrea Della Monaca, “Memoria Historica dell’antichissima e fedelissima città di Brindisi”, Lecce: appresso Pietro Micheli, 1674, p. 254, testo reso disponibile come risorsa digitale in “Internet Cultura” dalla Biblioteca provinciale Nicola Bernardini di Lecce. Il medesimo passo è contenuto nel manoscritto di Giovanni Maria Moricino, “Dell’Antichiquità e vicissitudine della Città di Brindisi. Opera di Giovanni Maria Moricino filosofo, e medico dell’istessa città. Descritta dalla di lei origine sino all’anno 1604”, p. 133r, reso disponibile come risorsa digitale in “Internet Cultura” dalla Biblioteca pubblica arcivescovile A. De Leo di Brindisi.
6 Andrea Della Monaca, op. cit., pp. 244 - 245. Giovanni Maria Moricino, op. cit., p. 128v, si esprime nello stesso senso, sia pur con diverse parole e con attenuato accento.
7 Si veda in tal senso, Mario Talamanca, “Istituzioni di diritto romano”, ed. Giuffré, 1989.
8 Marco Tullio Cicerone, “Pro L. Cornelio Balbo”, XII, 28.
9 A dire il vero, questo termina mi porta anche a dubitare che il distico sia effettivamente di Virgilio. Ma se pure così fosse, la sostanza delle cose non si modificherebbe in quanto, chiunque l’abbia compilato, ha comunque voluto interpretare il pensiero di Virgilio.
10 Publio Virgilio Marone, “Georgiche”, IV, 563-564.
11 Ferrando Ascoli, “La storia di Brindisi”, Malvolti, Rimini, 1886. Ristampa Arnaldo Forni Editore, 1981, p. 35.
12 Lucio Anneo Seneca, “Epistulae morales ad Lucilium, IV, 36, 10.